Sei mesi fa c’era stata l’ispezione da parte del Vaticano, ora la decisione. Enzo Bianchi, fondatore della Comunità di Bose, dovrà lasciare il monastero in provincia di Biella.
È stato il Papa stesso a ordinare questa decisione clamorosa, mettendo la firma sull’approvazione del decreto che ordina l’allontanamento dell’ex priore. Padre Enzo Bianchi è una voce molto nota e molto ascoltata da una parte del mondo laico interessata al pensiero cristiano.
A metà degli anni sessanta, a conclusione del Concilio Vaticano II, Bianchi aveva fondato in Piemonte questa comunità cristiana, in una frazione abbandonata del comune di Magnano, sulla Serra di Ivrea. La data formale della nascita è l’8 dicembre 1965, giorno della chiusura del Concilio. La volontà era quella di dare vita a una comunità monastica sul modello delle “comunità di base”, cioè ispirata ai cristiani dei primi secoli.
La Comunità di Bose si caratterizza infatti per essere fortemente centrata nel dialogo ecumenico, aperta a tutte le confessioni e quindi anche alle donne. Bianchi ne ha lasciato formalmente la guida tre anni fa, nel 2017, passando il testimone a fratel Luciano Manicardi.
Nell’aria però cominciava a farsi sempre più palese il sentore di un malfunzionamento nel passaggio tra la guida di Bianchi e quella di Manicardi. Così il 6 dicembre 2019 è avvenuta la “visita apostolica” da parte degli ispettori vaticani. In un “momento di un passaggio che non può non essere delicato e per certi aspetti problematico”, scrive la comunità.
Segno che la situazione cominciava ad essere al limite e stava per compromettersi. Erano troppe le tensioni che si stavano creando tra la nuova guida e il fondatore. E Manicardi, il nuovo priore, per poter prendere in mano la comunità senza interferenza aveva di cero bisogno di serenità.
La visita si sperava che portasse una risoluzione, ma così non è stato. Le tensioni si sono incrementate, e il 13 maggio il Segretario di Stato della Santa Sede Pietro Parolin ha firmato il decreto.
Nella serata di ieri, è stata poi la Comunità stessa a renderlo noto, spiegando che “l’annunciato rifiuto dei provvedimenti da parte di alcuni destinatari ha determinato una situazione di confusione e disagio ulteriori”.
Il fatto, in sostanza, è che alcune persone invitate ad andare via non vorrebbero farlo. Così nel testo si spiega precisamente che “Enzo Bianchi, Goffredo Boselli, Lino Breda e Antonella Casiraghi dovranno separarsi da Bose e trasferirsi in altro luogo, decadendo da tutti gli incarichi attualmente detenuti”.
Si tratta del fondatore, due confratelli e una consorella, parte dei circa novanta membri, quasi tutti laici e di sei nazionalità, di cui attualmente è composta la comunità. Nel testo viene anche spiegato che la situazione è “tesa e problematica per quanto riguarda l’esercizio dell’autorità del fondatore e il clima fraterno”.
Si parla inoltre della necessità di “superare gravi disagi e incomprensioni che potrebbero indebolire o addirittura annullare” il suo ruolo. Enzo Bianchi infatti non è un semplice priore, ma un personaggio famoso, scrittore affermato che pubblica regolarmente con le più grandi case editrici, insomma una figura quasi ingombrante.
Tra l’altro, Bianchi è una figura da sempre stimata anche da Papa Francesco, che più volte gli ha rivolto discorsi di encomio e affetto. “I fratelli e le sorelle di Bose esprimono sincera gratitudine al Santo Padre Francesco per questo segno di vicinanza e di sollecitudine paterna, e accolgono con gioia questa opportunità preziosa di ascolto e di dialogo”, era stato scritto dopo l’invio degli ispettori vaticani lo scorso settembre.
Su Twitter, dove è molto attivo, l’ex priore Enzo Bianchi scrive: “Ciò che è decisivo per determinare il valore di una vita non è la quantità di cose che abbiamo realizzato ma l’amore che abbiamo vissuto in ciascuna delle nostre azioni: anche quando le cose che abbiamo realizzato finiranno l’amore resterà come loro traccia indelebile”.
Due giorni fa, il 22 maggio, scriveva un messaggio che suona ancora più amaro: “Quando giunge il fallimento, la sconfitta noun rinunciare mai alla verità, perché anche nell’umiliazione la verità va glorificata: solo se ferisce la carità la verità può essere celata, e maledetto sia colui per il quale la verità va detta senza pensare alla carità fraterna”.
Giovanni Bernardi
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