Il Papa pone fine allo scandalo di don D’Antiga e del “corvo”

Papa Francesco ha ridotto allo stato laicale don Massimiliano D’Antiga, ex parroco ribelle di Venezia al centro di gravi scandali e di accesi scontri nella diocesi. 

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Si tratta della conclusione di una vicenda durata anni e iniziata col rifiuto di don Massimiliano di obbedire al trasferimento. Il sacerdote, originario di Treporti, ex parroco di di San Zulian e amministratore di San Salvador, è colpevole di reiterate e gravi violazioni della legge canonica nei confronti della comunione ecclesiale. Le accuse sono rimarcate dal Patriarcato di Venezia con una nota, dopo che il sacerdote si era auto-sospeso nel dicembre 2018.

Don Massimiliano D’Antiga si era opposto alle richieste della diocesi

Don D’Antiga si era opposto alla richiesta della diocesi di diventare cappellano corale della Basilica di San Marco. La diocesi, nella nota ufficiale, non entra nel merito degli scandali legati all’ex religioso. Ma spiega che “egli stesso, in più occasioni, in precedenza, si era detto portato. Avrebbe inoltre continuato a seguire, come gli fu subito comunicato, il gruppo dei genitori “con un figlio in cielo”, nella stessa chiesa di San Zulian, a 100 metri dalla Basilica, dove abitualmente si ritrovano. In tal modo consentendo il necessario riassetto pastorale della zona. Con cui tre parrocchie e due rettorie venivano affidate ad un solo parroco coadiuvato da un aiuto”.

Tuttavia, la disobbedienza del sacerdote aveva fatto sì che a don Massimiliano venisse consegnato il precetto con il quale gli veniva chiesto di un periodo di 3 mesi in una comunità sacerdotale presso una casa religiosa, non distante da Venezia. Lì il sacerdote avrebbe trovato competente aiuto psicologico e spirituale. Sperando che ciò potesse portarlo a ritrovare la necessaria serenità per portare avanti il sacerdozio.

I manifesti dello scandalo che girarono per Venezia

In quei giorni però cominciarono a girare in città manifesti e volantini a sostegno di don D’Antiga, firmati da un tale fra Tino, che la procura di Venezia cominciò a identificare come il “corvo”. I sospetti parlavano di un amico e collaboratore del sacerdote. Nei manifesti si accusava il clero accusatore di don Massimiliano di condotte lascive e pedofilia.

Nel frattempo, il clima tra i fedeli era cambiato e in maniera significativa. Da una apparente calma iniziale, le cronache registrano scontri sul sagrato di piazza Santissima Trinità con decine di fedeli che protestavano rumorosamente. Con al seguito scambi di offese reciproche tra loro e i pochi difensori del sacerdote. Facendo scoppiare polemiche altrettanto velenose sui social. Con botta e risposta continui e post prima pubblicati poi rimossi.

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Le dure accuse verso il sacerdote ridotto allo stato laicale

Il sacerdote, tra le varie accuse che gli venivano lanciate, c’erano anche quelle riguardanti le proprietà di famiglia, una quindicina di appartamenti e case tra la periferia e il centro storico di Venezia, attualmente intestate al prete. Che da parte sua si difendeva spiegando che si tratta di proprietà lasciate dalla sua famiglia e che non c’è stato alcun raggiro. Però la situazione continuava a non essere chiara. Come ad esempio quando il sacerdote accusò uno dei fedeli, Alessandro Tamborini, di turbare alcune funzioni religiose, opponendosi fisicamente al passaggio di un corteo processionale. Mentre le telecamere registravano la falsità dell’accusa.

Una situazione del tutto incresciosa che ha portato il Pontefice a prendere la decisione suprema e inappellabile, dopo la sentenza della Congregazione per il Clero arrivata al termine di una complessa indagine ecclesiastica. I comportamenti di cui l’ex religioso si è macchiato sono quelli di “istigazione alla rivalità, all’odio e alla disobbedienza”, “lesione illegittima della buona fama”, “abuso della potestà ecclesiastica”, e di inosservanza del “dovere di conservare sempre la comunione con la Chiesa”.

Tutte le colpe di cui si è macchiato don Massimiliano D’Antiga

Nonché del “dovere dei chierici di condurre una vita semplice e del distacco dai beni” e “dell’obbligo di astenersi da ciò che è sconveniente e alieno dallo stato clericale”. Con la “speciale gravità” implicata dalla “necessità di prevenire o riparare gli scandali”.

L’annuncio dell’epilogo è stato dato “con vero dispiacere e grande dolore” da monsignor Moraglia. Ma è stata anche accolta con soddisfazione da Tamborini, docente di scienze religiose. Tamburini, veneziano e grande accusatore di don D’Antiga, è anche parte offesa nei procedimenti penali che ruotano attorno a queste vicende.

La soddisfazione dell’accusa verso l’ex sacerdote

Fu lui a chiedere per primo alla Santa Sede il trasferimento e la riduzione allo stato laicale di D’Antiga. “Ora si può dire che avevo ragione, anche se il provvedimento arriva dopo che per anni a Venezia non si era mai risposto alle mie denunce. Tutti questi scandali potevano essere evitati se Moraglia mi avesse ascoltato“, dice il docente.

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“Ora interverrò per denunciare l’inaudito impero immobiliare di oltre 18 case, terreni ville, appartamenti costruito dal D’antiga e dai parenti grazie anche ad offerte ed eredità. Tra cui un lasciato da 1 milione 400mila euro di una signora svizzera senza altri eredi, di cui si trova traccia nei fascicoli giudiziari”.

Giovanni Bernardi

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