Verdetto choc | Lo Stato deve pagare chi ha simulato l’aborto di Gesù

La blasfemia è reato in molti Paesi musulmani ma non lo è più nella vecchia, secolarizzata e decadente Europa. Lascia interdetti l’ultima sentenza laicista della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che va sempre più in questa direzione.

Il fatto increscioso risale al 20 dicembre 2013, quando una rappresentante delle Femen fece irruzione nella chiesa di Santa Maria Maddalena a Parigi, con indosso un velo che simulava quello della Madonna e una pseudo-corona di spine.

Cancellare il Natale

La donna mimò un aborto e urinò davanti al tabernacolo sotto lo sguardo sbigottito dei coristi che stavano facendo le prove di canto. Eloise Bouton, questo il nome della Femen, fu cacciata subito dopo ma era comunque riuscita a portare con sé una decina tra giornalisti e fotografi, complici dell’affronto e preventivamente avvertiti.

Non contenta dell’oltraggio, la Bouton raccontò alla stampa di essersi introdotta in chiesa, tenendo tra le mani “due pezzi di fegato di manzo, simboleggianti Gesù abortito”.

Sul ventre si era poi fatta tatuare delle parole ingiuriose, facenti riferimento al Manifesto delle 343, con cui, nel 1971, le femministe francesi rivendicavano l’aborto legale. Sulla schiena della Femen blasfema risaltava un altro tatuaggio, recante la frase: “Il Natale è cancellato”.

Strano concetto di “libertà d’espressione”

La denuncia sporta dal parroco di Santa Maddalena nei confronti della Bouton aveva avuto come esito in primo grado la condanna a 3500 euro e un mese di carcere con pena sospesa. Un verdetto piuttosto mite ma confermato nei due successivi gradi di giudizio. Il reato sanzionato consisteva in atti osceni in luogo pubblico.

Il “colpo di spugna” è arrivato con la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che ha assolto Eloise Bouton, definendo la sua irruzione una “performance” meritevole di tutela in nome della libertà d’espressione (cfr art. 10 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo). Lo Stato francese dovrà ora risarcire l’attivista delle Femen, indennizzandola con 10mila euro, per aver violato questa sua libertà.

Una sentenza piena di forzature, quella della CEDU, in quanto il menzionato articolo 10 prevede limitazioni della libertà d’espressione, qualora questa mette a repentaglio la morale e i diritti altrui.

La CEDU si è dichiarata persino “colpita dalla gravità della sanzione”, aggiungendo che “una pena detentiva inflitta nel contesto di un dibattito di interesse politico o pubblico è compatibile con la libertà di espressione garantita dall’art. 10 della Convenzione solo in circostanze eccezionali, in particolare quando altri diritti fondamentali sono stati gravemente violati, come nel caso, ad esempio, di discorsi d’odio o di incitamento alla violenza”.

Secondo la Corte di Strasburgo, quindi, offendere la sensibilità religiosa dei cattolici, con espliciti riferimenti ingiuriosi a Gesù e Maria, non avrebbe nulla a che vedere con un “discorso d’odio.

Prendendo esplicitamente le difese di Eloise Bouton e delle Femen, la CEDU considera l’irruzione del 2013 come “volutamente provocatoria” e finalizzata a contribuire “al dibattito pubblico sui diritti delle donne, in particolare sul diritto all’aborto”, in nome del quale la chiesa parigina oltraggiata, sarebbe stata “scelta per promuovere la copertura mediatica” di tale gesto. Un modo per dire, in “giuridichese”, che l’aborto va tutelato anche a costo di offendere la religione cattolica.

Due pesi e due misure

Sussiste forse un pregiudizio nei confronti delle religioni da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo? Non proprio. Se un pregiudizio c’è, si tratta di un pregiudizio eminentemente anticristiano. Nel 2018 la stessa CEDU aveva condannato una cittadina austriaca, per aver definito “pedofilo” il profeta Maometto.

In quell’occasione, la Corte aveva giudicato quelle affermazioni “una violazione maligna dello spirito di tolleranza alla base della società democratica”, in grado di mettere “in pericolo la pace religiosa”. Secondo la CEDU si trattava di una “generalizzazione senza alcuna base fattuale” che “probabilmenteavrebbe suscitato un’“indignazione giustificabile” tra i musulmani.

Come non vedere un doppio standard unito a una cecità colpevole? – ha commentato Gregor Puppinck, presidente del Centro Europeo per il Diritto e la Giustizia –. Il conferenziere austriaco ha solo detto la verità, con decenza e discrezione, mentre l’obiettivo di Femen era ferire e offendere. La Corte non avrebbe mai appoggiato una dimostrazione così macabra se si fosse verificata in una moschea o in un tribunale”.

Rimane in piedi, a questo punto, un interrogativo: se la difesa della vita dal concepimento fosse presa in prima persona da un imam della moschea di qualunque Paese europeo, le Femen imbastirebbero un’aggressione ai danni di una parrocchia cattolica come quella del 2013?

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