Oggi nella Chiesa si parla molto di misericordia, tuttavia ai cristiani è chiesto anche di parlare con chiarezza. Qual è la soluzione?
Due condizioni che a qualcuno sembrano in contraddizione, e che talvolta pongono delle domande sui propri comportamenti. Come ci si deve comportare di fronte a un fratello che sbaglia, e come è possibile tenere insieme la misericordia con il dovere di parlare chiaro in ogni situazione, senza mai nascondere la verità? Questo accade in modo particolare quando ci si confronta con qualcuno con cui non si condividono opinioni, scelte di vita, modalità di interpretare il mondo.
Ci si chiede, di fronte a tali contesti, quale sia la giusta strada che un cristiano è chiamato a intraprendere. Rimproverare un fratello che pecca, oppure evitare di creare divisioni, e fare più attenzione sul disagio che potrebbe provare la persona rimproverata. Sicuramente si tratta di un bivio importante, per il quale passa la condizione di tanti, il cammino nella luce del Signore o al contrario la perdizione tra le tenebre del mondo.
Per districare questo nodo complesso, don Diego Pancaldo, docente di Teologia spirituale, ha utilizzato l’espressione del salmo 85 “misericordia e verità si incontreranno”, e ha messo al centro l’insegnamento di San Tommaso d’Aquino. Il santo infatti spiegava che “in ogni opera di Dio si trovano la verità e la misericordia”. Ovvero metteva in luce il fatto che nel cristianesimo Verità e misericordia sono intrinsecamente connesse, in maniera praticamente inscindibile.
Al contrario di quanto molti possano pensare, infatti, misericordia e Verità non si contrappongono tra loro, tutt’altro. Sono giustapposte, si sovrappongono. C’è infatti un Luogo in cui si incarna, per i cristiani, la misericordia divina. Si tratta di Gesù Cristo, “verità vivente e personale”, spiega il teologo. Lo stesso osservava Giovanni Paolo II nell’enciclica Dives in misericordia al n.2. “Egli stesso è, in un certo senso, la misericordia”.
Questa unità speciale viene tuttavia, al contrario di quanto molti tendano spesso a dire in maniera inappropriata, spesso ribadita da Papa Francesco nei suoi discorsi, interventi pubblici, testi magisteriali. In un particolare discorso di Bergoglio ai vescovi italiani, pronunciato nel 19 maggio 2014, il Pontefice lo spiegava con parole molto chiare e dirette.
“Verità e misericordia, non disgiungiamole. Mai!… Senza la verità, l’amore si risolve in una scatola vuota, che ciascuno riempie a propria discrezione: e un cristianesimo di carità senza verità può facilmente essere scambiato per una riserva di buoni sentimenti, utili per la convivenza sociale, ma marginali, che in quanto tali non incidono sui progetti e sui processi di costruzione dello sviluppo umano”.
Tuttavia, al cristiano è richiesto un compito nient’affatto semplice, quello cioè di proclamare la verità nella carità. Spesso poi, oltre a non essere per niente facile, si tratta di un compito molto scomodo. Tuttavia, allo stesso tempo pronunciare la carità nella verità è a che una forma di amore tra quelle infinitamente più grandi che si possano vivere. D’altronde, non bisogna andare a cercare esempi tanto lontani.
Si tratta infatti di quanto fanno quotidianamente i genitori nei confronti dei loro figli. Senza la correzione della propria madre o del proprio padre, infatti, i figli non crescerebbero mai, ma al contrario rimarrebbero sempre bambini, accontentati nei loro capricci e nei loro comportamenti immaturi, sempre assecondanti, e talvolta, tristemente, persino incitati. Non viviamo infatti in una società che tende a fare di ogni vizio una virtù, di ogni capriccio un diritto, di ogni immaturità un vanto?
Lo stesso compito, inoltre, viene domandato ai professore, che qualora rinunciassero al loro ruolo di educatori, di segnalare cioè agli studenti i loro errori e le loro mancanze, verrebbero meno al loro compito di instradare i giovani nella società degli adulti. Guarda caso, oggi la direzione che la nostra società sta prendendo è quella di innalzare i comportamenti egoistici e infantili proprio perché le persone immature sono più controllabili. Quindi sono anche più sole, e funzionali a chi ha interesse di controllare.
Grandi industrie, multinazionali liquide, poteri oscuri. Chi non è in grado di fare sentire la propria voce, chi non ha un’identità chiara e salda, chi non conosce sé stesso e chi ha davanti, è una persona debole, quindi asservita alle logiche del mercato, dell’economia, dello sfruttamento di una società liquida e senza diritti né punti di riferimento.
Allora vediamo quanto sia importante vivere sempre in questa verità che si incarna nella carità e non nell’ipocrisia o nella debolezza. L’amore verso gli altri, infatti, non è di certo un comodo “lasciare correre”. Al contrario, quello significa avere disinteresse nei confronti del nostro prossimo. O meglio, indifferenza. Così ritorna l’allarme di Papa Francesco sulla “dittatura dell’indifferenza”.
“Gesù ha amato i suoi discepoli riprendendo i loro atteggiamenti sbagliati, con una franchezza che nasceva dall’amore”, spiega il teologo. “Lui stesso ci ha invitato a praticare la correzione fraterna che richiede umiltà e pazienza”. Anche le parole di Benedetto XVI ci vengono incontro su questo argomento.
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Nel messaggio per la Quaresima 2012, Ratzinger infatti spiegava che “prestare attenzione al fratello comprende altresì la premura per il suo bene spirituale”. Il Papa emerito in questo passaggio si era concentrato nel “richiamare un aspetto della vita cristiana che mi pare caduto in oblio: la correzione fraterna in vista della salvezza eterna”.
Insomma, non in un nome di un bene immediato e finito, ma della Redenzione stessa. “Oggi, in generale, si è assai sensibili al discorso della cura e della carità per il bene fisico e materiale degli altri, ma si tace quasi del tutto sulla responsabilità spirituale verso i fratelli”, chiosa perciò Pancaldo. “Non così nella Chiesa dei primi tempi e nelle comunità veramente mature nella fede, in cui ci si prende a cuore non solo la salute corporale del fratello, ma anche quella della sua anima per il suo destino ultimo”.
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“Rimprovera il saggio ed egli ti sarà grato. Dà consigli al saggio e diventerà ancora più saggio; istruisci il giusto ed egli aumenterà il sapere” (Pr 9,8s), si legge nella Bibbia. Insomma è stato Cristo stesso, per prima, a indicare al cristiano di riprendere il fratello che sta commettendo un peccato (cfr Mt 18,15). Anzi, c’è di più. “Il verbo usato per definire la correzione fraterna – elenchein – è il medesimo che indica la missione profetica di denuncia propria dei cristiani verso una generazione che indulge al male (cfr Ef 5,11)”.
“La tradizione della Chiesa ha annoverato tra le opere di misericordia spirituale quella di ammonire i peccatori”, ricordava ancora Ratzinger. “È importante recuperare questa dimensione della carità cristiana. Non bisogna tacere di fronte al male. Penso qui all’atteggiamento di quei cristiani che, per rispetto umano o per semplice comodità, si adeguano alla mentalità comune, piuttosto che mettere in guardia i propri fratelli dai modi di pensare e di agire che contraddicono la verità e non seguono la via del bene“.
Il teologo di Lubinga spiegava tuttavia che “il rimprovero cristiano non è mai animato da spirito di condanna o recriminazione; è mosso sempre dall’amore e dalla misericordia e sgorga da vera sollecitudine per il bene del fratello”. Tanti sono i riferimenti ancora presenti nella Scrittura. Dice l’apostolo Paolo: “Se uno viene sorpreso in qualche colpa, voi che avete lo Spirito correggetelo con spirito di dolcezza. E tu vigila su te stesso, per non essere tentato anche tu” (Gal 6,1).
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“Nel nostro mondo impregnato di individualismo, è necessario riscoprire l’importanza della correzione fraterna, per camminare insieme verso la santità. Persino «il giusto cade sette volte» (Pr 24,16), dice la Scrittura, e noi tutti siamo deboli e manchevoli (cfr 1 Gv 1,8)”, ha concluso Ratzinger. “È un grande servizio quindi aiutare e lasciarsi aiutare a leggere con verità se stessi, per migliorare la propria vita e camminare più rettamente nella via del Signore. C’è sempre bisogno di uno sguardo che ama e corregge, che conosce e riconosce, che discerne e perdona (cfr Lc 22,61), come ha fatto e fa Dio con ciascuno di noi”.
Giovanni Bernardi
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