Veritatis splendor compie 25 anni
Il 2018, tra altre ricorrenze, registra il venticinquesimo anniversario della pubblicazione dell’enciclica Veritatis splendor (1993), uno dei documenti dottrinali più importanti dell’ampio magistero di Giovanni Paolo II (1978-2005). Purtroppo, essendo un documento fortemente contrario al relativismo, al liberalismo e al laicismo quale principio etico-politico dello Stato moderno, il suo anniversario verrà del tutto dimenticato e rimosso negli ambienti ecclesiali che vanno per la maggiore (come già capitò con il ventennale).
Sia il suo spirito anti-moderno di fondo, sia moltissime delle sue affermazioni salienti e impegnative, sia infine gli autori citati e la chiarezza complessiva del testo, lo hanno reso per molti teologi e pastori uno di quei documenti da dimenticare in fretta e verso cui non si reclama alcuna memoria e nessuna “pericolosa” continuità.
Come sintetizzare nello spazio che abbiamo i 120 paragrafi che lo compongono e le 184 citazioni in essi contenute? Impossibile. Qui vogliamo solo presentare brevemente l’enciclica ai lettori dando loro la voglia di reperirla, anche sul web, e di meditarla come si deve.
Anzitutto, giova notare che l’enciclica si pone come il testo per eccellenza di tutto il Magistero morale di Giovanni Paolo II. Si tratta di uno dei documenti più impegnativi e autorevoli del Pontificato, assieme all’Evangelium vitae (1995), alla Fides et ratio (1998) e alla Dominus Iesus (2000). La discontinuità che si scorge subito, in tal caso, non è tra Magistero pre-conciliare e post-conciliare, quanto quella tra i punti fermi del Magistero recente, espressi nei documenti sopra menzionati, e la prassi teologica di Facoltà e riviste cattoliche, ambienti ecclesiali e insegnamento catechistico comunemente impartito, almeno dall’Humanae vitae (1968) in qua.
Il n. 4 precisa l’oggetto dell’Enciclica, individuandolo in una riflessione “sull’insieme dell’insegnamento morale della Chiesa, con lo scopo preciso di richiamare alcune verità fondamentali della dottrina cattolica che nell’attuale contesto rischiano di essere deformate o negate”. Tra gli errori che l’Enciclica condanna – si tratta di un testo colmo di condanne (come ogni dottrina della misericordia deve essere…) – c’è “l’influsso più o meno nascosto di correnti di pensiero che finiscono per sradicare la libertà umana dal suo essenziale e costitutivo rapporto con la verità” (n. 4). In tal senso, Giovanni Paolo II rileva “la dissonanza tra la risposta tradizionale della Chiesa e alcune posizioni teologiche, diffuse anche in seminari e facoltà teologiche, circa questioni della massima importanza per la Chiesa e per la vita di fede dei cristiani” (n. 4, corsivo mio).
Che direbbe il santo Pontefice oggi? Questa dissonanza è andata aumentando negli ultimi 25 anni o si è miracolosamente annullata? Secondo la nostra visione, la dissonanza e la tendenza ereticale allora già forte è ora estremamente diffusa, fino al punto che difficilmente troverebbe spazio in “seminari e facoltà teologiche” il teologo che volesse insegnare la “risposta tradizionale della Chiesa”, come auspicato da Papa Wojtyla.
Giovanni Paolo II si rivolge ai Vescovi per compattarli nella difesa della morale cristiana, “con l’intenzione di precisare taluni aspetti dottrinali che risultano decisivi per far fronte a quella che è senza dubbio una vera crisi, tanto gravi sono le difficoltà che ne conseguono per la vita morale dei fedeli” (n. 5).
Qui è il Magistero pontificio a individuare, 30 anni dopo l’ultima Assise ecumenica (1962-1965), una serissima crisi nell’insegnamento della morale. Per non parlare della pratica comune dei battezzati, tra divorzi sempre più rapidi (e ripetuti), prassi della contraccezione, giustificazione dell’aborto, mancata censura della pornografia, legittimazione “compassionevole” delle nozze gay, etc. etc.
Giovanni Paolo II vuole apertamente confutare la diffusa opinione “che mette in dubbio il nesso intrinseco e inscindibile che unisce tra loro la fede e la morale, quasi che solo in rapporto alla fede si debbano decidere l’appartenenza alla Chiesa e la sua unità interna, mentre si potrebbe tollerare nell’ambito morale un pluralismo di opinioni e di comportamenti, lasciati al giudizio della coscienza soggettiva individuale o alla diversità dei contesti sociali e culturali” (n. 4).
Il Pontefice polacco insegna che la fede e la morale sono i criteri di appartenenza alla Chiesa: senza la fede non si è cattolici ovviamente, ma neppure lo si è negando esplicitamente una verità della morale, facente parte del Depositum fidei. Il cattolico che pecca, poniamo contro il VI comandamento, resta un cattolico vero, benché incoerente; ma il cattolico che insegna che la contraccezione e l’aborto, l’omosessualità e il divorzio sono comportamenti leciti, non è più cattolico ed ha già apostatato dalla fede, anche senza rendersene conto. Bisogna dirle queste cose, a scanso di equivoci.
Il Papa per introdurre il tema morale all’attenzione del lettore, inizia richiamando l’episodio del celebre dialogo tra Gesù e il giovane ricco, secondo il racconto di Matteo (Mt 19,16-21), offrendone un sapiente commentario, degno di un Dottore della Chiesa (cf. nn. 6-24). Impossibile ripercorrerlo, neppure per sommi capi. Ma il nucleo centrale sta nell’inseparabilità tra l’amore di Dio e l’amore del prossimo, e altresì nella permanente validità dei 10 Comandamenti, anche nel contesto neo-testamentario delle Beatitudini, come ribadì il Maestro: “Se vuoi entrare nella vita, osserva i Comandamenti” (Mt 19,17). Infatti, se è vero che le beatitudini “non coincidono esattamente con i comandamenti” e li elevano ad un livello sublime, è anche vero che “non c’è separazione o estraneità tra le beatitudini e i comandamenti” (n. 16).
Innumerevole è però la serie dei teologi che predica esattamente il contrario, ovvero che dopo le beatitudini del NT, sarebbero superati i Comandamenti dell’AT. Quindi chi oggi si sforza di seguire i 10 Comandamenti, per questi teologi, sarebbe un fariseo mentre chi li viola sistematicamente, in nome della libertà evangelica, avrebbe lo Spirito del Signore! In quante prediche domenicali abbiamo sentito tali fandonie!
La vita morale però non è meno importante della purezza della fede e “l’unità della Chiesa è ferita non solo dai cristiani che rifiutano o stravolgono le verità della fede, ma anche da quelli che misconoscono gli obblighi morali a cui li chiama il Vangelo” (n. 26, corsivo mio).
Certo, la (vera) libertà è importante, ma come spiega s. Agostino, “la prima libertà consiste nell’essere esente da crimini… come sarebbero l’omicidio, l’adulterio, la fornicazione [ogni rapporto sessuale extra-matrimoniale], il furto, la frode, il sacrilegio e così via. Quando uno comincia a non avere questi crimini (…), comincia a levare il capo verso la libertà, ma questo non è che l’inizio della libertà, non la libertà perfetta” (cit. al n. 13).
Concludendo, ribadisco che è nel solo Magistero perenne e definitivo della Chiesa, come quello della Veritatis splendor, che conosciamo la volontà di Dio, e non certo nelle parole umane degli uomini, fossero pure teologi di fama o prelati di rilievo.
Antonio Fiori
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