Vescovo contro fedeli in Francia
Giovanni Paolo II ha parlato più volte di apostasia silenziosa, ovvero abbandono in massa dei credenti. Perdita della fede su larga scala, in modo quasi indolore e inavvertito. E di solito si riferiva al contesto europeo (si veda in tal senso l’esortazione apostolica del 2003 Ecclesia in Europa).
Il cattolicesimo francese, almeno dal Concilio in qua, ci ha abituato a tanti eccessi e a non pochi difetti. Si tratta di un contesto ecclesiale che in larga parte risente di quella ermeneutica della discontinuità che a più riprese ha denunciato Benedetto XVI, specie nel celebre Discorso alla Curia Romana del 22 dicembre 2005.
In quel memorabile discorso Ratzinger disse: “Nessuno può negare che, in vaste parti della Chiesa, la recezione del Concilio si è svolta in modo piuttosto difficile (…). I problemi della recezione sono nati dal fatto che due ermeneutiche contrarie si sono trovate a confronto e hanno litigato tra loro. L’una ha causato confusione, l’altra, silenziosamente ma sempre più visibilmente, ha portato frutti. Da una parte esiste un’interpretazione che vorrei chiamare ermeneutica della discontinuità e della rottura; essa non di rado si è potuta avvalere della simpatia dei mass-media, e anche di una parte della teologia moderna. Dall’altra parte c’è l’ermeneutica della riforma, del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa, che il Signore ci ha donato; è un soggetto che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo di Dio in cammino. L’ermeneutica della discontinuità rischia di finire in una rottura tra Chiesa preconciliare e Chiesa postconciliare”.
In pratica, secondo la lettura del teologo Ratzinger, allora Benedetto XVI, buona parte della teologia moderna, come la definisce lui stesso, ha usato il Concilio non per rinnovare sanamente la Chiesa e le sue strutture, come si doveva fare, ma per cancellare l’insegnamento dogmatico precedente.
Questa rottura gravissima tra il pre-Concilio e il post-Concilio è ben lungi dall’essersi sanata ed essa persiste come problema di fondo dell’odierna cristianità. Ovviamente, non ovunque i frutti di questa teologia della rottura sono stati e sono i medesimi. Senza rischio di errore possiamo asserire che proprio la Francia (ma in generale un po’ tutta l’Europa e il mondo occidentale) ha subito in modo cospicuo i danni e le negatività descritte nel discorso del Pontefice.
Non è un caso poi, che perfino coloro che prima del Concilio erano considerati come profeti del nuovo, subito dopo la svolta conciliare divennero assai critici dell’andamento che vedevano attorno a sé. Un andamento segnato dal secolarismo, dal neo-modernismo e da tante fughe in avanti, pericolose e nocive. Tra coloro che denunciarono tutto ciò, spiccano figure emblematiche della Chiesa francese come Jacques Maritain (1882-1973), il cardinal Jean Daniélou (1905-1974) e il teologo Henry de Lubac (1896-1991).
Ma veniamo all’attualità. Ogni anno a Parigi si tiene una Marche pour la vie (Marcia per la vita) ad imitazione della più nota e più antica March for life di Washington, sorta nel 1973. La Marcia parigina vuole denunciare l’aborto, che in Francia continua a mietere oltre 200.000 vittime l’anno, l’eutanasia che esiste già de facto e che si vuole introdurre de jure, e tutte le manipolazioni genetiche a danno degli embrioni (utero in affitto, esperimenti sul feto, aborto terapeutico sui down etc.).
La Marcia, che si è tenuta domenica 21 gennaio 2018 ed ha visto la partecipazione di oltre 40.000 persone, è aperta a persone di ogni confessione, e tuttavia è composta in gran parte da cattolici praticanti. Con il sostegno esplicito di molti sacerdoti e vari presuli, come quest’anno Marc Aillet (vescovo di Bayonne), Dominique Rey (vescovo di Tolone), Jean-Paul James (vescovo di Nantes), Xavier Malle (vescovo di Gap), gli abati di illustri abbazie come Fontgombault, Le Barroux, etc. etc.
Nei giorni immediatamente precedenti, il Movimento rurale della Gioventù cristiana ha emesso un comunicato stampa in cui, esplicitamente, “si desolidarizza dalla Marcia per la vita”. Incredibile, ma vero. Le ragioni? Secondo quanto scrivono, questi cristiani rurali denunciano “i messaggi di colpevolizzazione, di intolleranza e di odio portati dalla Marcia, coperti dietro valori cristiani”. Inoltre, difendono “il diritto fondamentale delle donne e delle coppie a ricorrere ad una interruzione volontaria della gravidanza”. “Noi, concludono il comunicato, come movimento cristiano siamo solidali con le lotte di emancipazione personale e collettiva!”…
Sembrerebbe di essere tornati agli anni ’70, al Movimento dei cattolici comunisti di Franco Rodano (1920-1983) e alle raccolte di firme di ‘cattolici’ e sacerdoti in favore prima del divorzio (1974) e poi dell’aborto (1981).
Per fortuna, in questo caso, l’Ordinario del luogo ove ha sede l’associazione, monsignor Bernard Ginoux, ha preso carta e penna e ha redatto una Lettera aperta, inviata sia all’intero episcopato francese che ai cristiani rurali in questione. Evidentemente per denunciare la deriva etica e la tendenziale apostasia di questi pseudo-cristiani ormai del tuto secolarizzati. Il Vescovo, autorevolmente, definisce il comunicato pro-aborto di cui sopra come “irricevibile”, in quanto “Il rispetto di ogni vita umana dal concepimento alla sua fine naturale non è un’opzione, una scelta, un’opinione tra le altre. Per ogni persona che ha il senso della vita, tale rispetto è incondizionato (…). Anche dei non-cristiani si rifiutano di praticare o di far praticare un aborto. Non è quindi una questione di religione, ma di umanità”.
Ciò dimostra che siamo ancora immersi fino al collo in quella ermeneutica della rottura che Ratzinger imputava alla teologia moderna.
Viene in mente san Giovanni Paolo II, ora canonizzato ma spesso dimenticato, che oltre a condannare in termini inequivocabili l’aborto procurato, definito come un omicidio (Evangelium vitae, 58), nel 1993 rilevava “la dissonanza tra la risposta tradizionale della Chiesa e alcune posizioni teologiche, diffuse anche in seminari e facoltà teologiche, circa questioni della massima importanza per la Chiesa e per la vita di fede dei cristiani” (Veritatis splendor, 4, corsivo mio).
Se c’è dissonanza sulle questioni della massima importanza, significa che il problema concerne la dottrina della fede: e se si scivola sulla fede e l’ortodossia, lo si farà tanto più agevolmente sulle questioni morali. Se la dissonanza ha come protagonisti perfino le facoltà di teologia, tanto più essa sarà diffusa nel gregge, ovvero nel santo popolo di Dio.
Fabrizio Cannone
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