“Anche l’aggressore di Emmanuel Chidi Nnamdi è una vittima e se qualcuno lo avesse aiutato a controllare la sua istintività, la sua aggressività avrebbe fatto bene”. Il parroco di Fermo monsignor Vinicio Albanesi mentre accompagna il feretro del profugo ucciso il nigeriano che aveva ospitato insieme con la compagna nella comunità di Capodarco dov’è responsabile, parla di Amedeo Mancini, il 39enne ultrà fermato per omicidio preterintenzionale. “Noi perdoniamo tutti, noi accogliamo tutti” dice. Alle 18 sono iniziati i funerali del 36enne: sopra al feretro un cuscino di rose rosse e la foto del giovane migrante nel giorno in cui don Vinicio lo aveva simbolicamente unito in matrimonio con la sua compagna Chinyere. In rappresentanza del governo il ministro Maria Elena Boschi. Presente anche la presidente della Camera Laura Boldrini e l’eurodeputata ed ex ministro Kyenge finita nel 2015 al centro delle cronache per essere stata chiamata “orango” da Calderoli. Kyenge ha scritto una lettera che consegnerà alla vedova di Emmanuel. “L’Italia – si legge nella missiva – e gli italiani non sono razzisti e lo dimostra il grande abbraccio che questo Paese ti ha dato, chiamando ciò che vi è accaduto ed è accaduto ad Emmanuel con il proprio nome: un’aggressione di matrice razziale. L’Italia non è un Paese razzista, ma c’è purtroppo chi sta provando irresponsabilmente ad avvelenare i pozzi del futuro, cavalcando il malessere sociale del Paese, che ha altre cause, per lucrarne elettoralmente con discorsi d’odio razziale verso immigrati e rifugiati, indicati come capro espiatorio dei mali del Paese”.
La vedova sviene nel Duomo Chinyery, la vedova di Emmanuel perde i sensi durante il funerale del compagno. Mentre siedeva nella prima fila dei banchi del Duomo, gremito di fedeli e affollata di immigrati in abiti neri con la fascia rossa del lutto intorno al capo, si è sentita male. Quando si è accasciata sulla panca, durante l’offertorio, sono intervenute le crocerossine che le erano vicino e, immediatamente, gli uomini del 118 che l’hanno caricata su una barella e portata fuori dalla chiesa.
L’omelia dell’arcivescovo La Messa di Emmanuel è stata celebrata dall’arcivescovo Luigi Conti insieme con monsignor Albanesi. “Mercoledì scorso avevo chiesto silenzio, ma non sono stato ascoltato, soprattutto dai media. Adesso vi chiedo la fede per comprendere le parole che abbiamo ascoltato. Senza la fede, senza credere che il sangue ha il potere di riconciliarci, noi non ce la faremo”. Così l’arcivescovo Luigi Conti ha iniziato la sua omeli. “Mi dà fastidio – ha aggiunto – quando i media definiscono i migranti disperati. Noi lo siamo, non loro. Noi rischiamo di uccidere la loro speranza. È la divisione che uccide, non questo o quel fratello della comunità. Da oltre due anni questa città – sottolinea – si è dimostrata ospitale, ma veramente ospitale. Lo riconoscono i nostri fratelli scappati dalle guerre, dalla fame, dalla persecuzione religiosa. Anche il nostro fratello Emmanuel e la sua promessa sposa lo hanno riconosciuto. Noi fermani siamo ospitali. Chiedo a tutti un supplemento di vicinanza e di fraternità”.
Il messaggio del Papa: “Dio è anche nel migrante che vogliono cacciare” Nell’Angelus della domenica Papa Francesco enuncia la parabola del buon Samaritano e il riferimento non è casuale: il Pontefice si riferisce alla morte del nigeriano ucciso a Fermo (“quel migrante che volevano cacciare via” dice il Papa), un esempio concreto di razzismo che allontana il prossimo, che separa. Chi è il mio prossimo? Chi devo amare come me stesso? I miei parenti? I miei amici? I miei connazionali? Quelli della mia stessa religione?”.
Fonte:iltempo.it