Sembra uno scenario di guerra: così mons. Domenico Pompili, vescovo di Rieti, che si trova ad Amatrice. Nell’intervista di Debora Donnini, mons. Pompili racconta il dramma delle zone terremotate della sua diocesi:
R. – Il dolore, lo sconcerto e direi anche l’incredulità è un po’ l’atteggiamento prevalente tra tutte le persone, che ancora non hanno ben compreso che cosa stia accadendo alla loro vita, alla nostra vita.
D. – Mons. Pompili, qual è lo scenario che si è trovato davanti stamattina?
R. – Lo scenario è quello di vedere trasformato un luogo incantevole – dove grazie anche alla bellezza di questo periodo estivo c’era veramente da rimanere estasiati per l’incanto della natura – ad un luogo di devastazione simile ad uno scenario di guerra, perché tutto è stato travolto, sbriciolato, decomposto e nel centro storico non c’è più la possibilità di riconoscere quel borgo così elegante.
D. – Di fronte a tanta morte e distruzione, sicuramente la domanda che sgorga nel cuore di tanti è: “Dov’è Dio?”
R. – Ieri sera ero ad Accumoli, nella tendopoli, e una signora mi ha fatto esattamente questa domanda. E’ una domanda che, peraltro, ci accompagna sempre nella vita, quando siamo posti di fronte alla questione fondamentale che è quella della morte. Certamente la fede ci ispira non la disperazione, ma la speranza che tutto questo possa avere un senso. Ma in questo momento certamente è difficile. Quello che è dato di credere è che sicuramente Dio è sempre dalla parte di chi sta soffrendo, in modo particolare. Accanto a questa domanda – “Dov’è Dio?” – forse bisognerebbe poi, subito dopo, collocarne un’altra: “Dov’è l’uomo?”. O meglio: “Dov’era l’uomo?”, perché la fragilità del sistema del nostro Paese è anche tale, che di fronte ad un evento certamente significativo, ci si ritrova ogni volta a contare i danni. Forse questa è l’ennesima volta in cui siamo costretti a chiederci se abbiamo fatto tutto il possibile per evitare che di fronte a questi fenomeni della natura, peraltro imprevedibili, si potesse reggere l’urto in maniera differente.
D. – Si parla di 5 mila 400 uomini impegnati per salvare persone, costruire tende, fornire assistenza. Secondo lei, questo lavoro e amore dei soccorritori fa vedere che, nonostante il male e la morte, qualcosa di Eterno, che spinge l’uomo a donarsi totalmente, esiste?
R. – Sicuramente il lavoro che stanno facendo da ieri notte tantissime persone è l’aspetto umanizzante che più fa sperare, che io mi auguro possa essere non circoscritto a queste prime fasi che sono anche emotivamente molto cariche e abbia la capacità in forme diverse di essere allungato nel tempo. Credo che ci sia la necessità da parte dell’informazione e delle istituzioni di far sì che dopo questo primo momento, questa vicinanza produca anche una progettualità nell’opera di recupero.
D. – Il Papa ha esortato ieri i fedeli presenti in Piazza San Pietro a pregare il Rosario. E’ importante invitare in questo momento le persone a pregare…
R. – Direi che è decisivo. Il rischio è che talvolta ci si concentri solo su questi aspetti, pur necessari, di ciò che fa l’uomo e che è assolutamente indispensabile, ma si dimentichi l’altro aspetto, che è quello del dolore e dell’irreparabile che può essere sostenuto e colmato solo in una prospettiva che richiama all’azione di Dio.
D. – Come state vicino alla popolazione colpita? Cosa stanno facendo i sacerdoti della sua diocesi?
R. – Stanno in mezzo alla gente. Si stanno riprendendo dall’impatto emotivo dell’altra notte, perché alcuni sono stati scossi molto fortemente. E, nello stesso tempo, anche grazie alla Caritas e a tanti gruppi di volontari, si sta provvedendo a quelli che sono i bisogni più urgenti.
fonte: radiovaticana