Il viaggio di Maria e Giuseppe da Betlemme a Nazareth è un esempio di coraggio e forza per tutti noi. Ripercorriamolo con loro attraverso i fatti storici.
Il Natale oggi è in genere associato alla festività in cui ritrovarsi al caldo e al riparo, circondati dai propri affetti più cari, e dalla gioia della ricorrenza della nascita del Salvatore.
Guardando però al Presepe, il ricordo che questo dovrebbe trasmetterci non è soltanto quello della venuta di Gesù Bambino ma anche del coraggio e della fatica di una coppia davvero eccezionale, da prendere come riferimento per la vita di ciascuna coppia, quali sono stati Giuseppe e Maria. Affinché la profezia più importante si compisse, quella di Isaia 7,14: “pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele”.
La città di Betlemme, all’epoca considerato un centro di secondaria importanza, nonostante fosse la città del re Davide e lì vi fosse sepolta la seconda moglie di Giacobbe Rachele, dista 7 chilometri da Gerusalemme. Giuseppe pare che fosse originario di Betlemme, in Giudea, ma in quell’epoca viveva con Maria a Nazaret, nel nord della Galilea.
Stando al Vangelo di Luca, infatti, che diverge in alcuni dettagli da quello di Matteo, è lì che i due si trovavano nel momento in cui Maria rimase incinta di Gesù. E quella strada montuosa che intercorreva tra le due città, composta dalla pianura di Esdrelon, dalla scoscesa Samaria e dalle alture della Giudea, era normalmente percorse da molte carovane, dirette da Gerusalemme all’Egitto.
Fu così in quel periodo, nel mese di marzo dell’anno 8 a.C., lo stesso in cui Maria e Giuseppe si sposarono, che l’imperatore Augusto impartì l’ordine di realizzare un censimento della popolazione, per volere di Erode, re di Giudea. E per quella ragione tutta la popolazione era obbligata a dirigersi al villaggio di cui era originario.
In Palestina tuttavia, a differenza di tutto il restante Impero, ebbe luogo un anno dopo, il 7 a.C.. La ragione risiedeva nel fatto che gli Ebrei erano prevenuti contro l’idea di contare il popolo ai fini della tassazione. Maria stava quasi per giungere al termine della sua gravidanza; sebbene non fosse obbligatoria la sua presenza, decise comunque di affrontare insieme al suo amato sposo Giuseppe, discendente del re Davide, questo lungo viaggio di ben 156 chilometri.
Una situazione di difficoltà, quindi, non di poco conto. All’epoca non esistevano di certo tutte le facilitazioni di cui spesso – ma non sempre – si dispone oggi. Seppure l’Impero romano disponesse già di molte strade diciamo asfaltate, altrettante non lo erano ancora; intraprendere un cammino significava montare in sella al proprio asino o cammello, con tutte le fatiche che ciò comportava.
Possiamo quindi solo immaginare lo sforzo che attendeva una coppia economicamente povera e composta peraltro, oltre che da una ragazza incinta e prossima al parto, da un uomo non più giovane, Giuseppe, almeno stando a quanto diverse tradizioni riportano.
Tuttavia i Vangeli non citano esplicitamente quale fu il mezzo di trasporto con il quale i due decisero di mettersi in viaggio. Di sicuro avevano bisogno di cibo, perciò l’ipotesi dell’asino risulta tra le più verosimili.
Senza considerare che avranno dovuto di certo trovare dei luoghi in cui riposare durante le notti. Si può immaginare che ciò sia avvenuto nell’ambito di un accampamento provvisorio, oppure al riparo in una locanda incontrata durante il tragitto. Tutto fino alla stalla in cui Maria “diede alla luce il suo figlio primogenito. Lì lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio”.
Giovanni Bernardi
fonte: Aleteia.it
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