Le cronache continuano a riempirsi di terribili casi di violenze nei confronti di donne e bambini ma nessuno va alla radice del problema.
Viviamo infatti in un’epoca in cui la violenza e il dolore si sovrappongono alla mancanza di amore, a quella sofferenza interiore che deriva da una lontananza con il Signore. Lo spiega molto bene don Maurizio Patriciello, sacerdote da sempre in prima fila contro la violenza, la crudeltà e l’efferatezza, ad esempio, dei fatti di camorra che avvengono nel napoletano, dove esercita il suo sacerdozio.
Don Patriciello, infatti, su Avvenire ha centrato il punto del problema che, di fronte a tanto male, purtroppo nessuno si prefigge l’obiettivo di affrontare. I telegiornali sono pieni di omicidi e brutalità e le persone a casa, con il tempo, si sono così tanto abituati ad ascoltare tali orrori da diventarne anestetizzati. In alcuni casi, la violenza diventa persino spettacolo, intrattenimento, quasi come se fosse un videogioco o uno scherzo.
Se si va però veramente alla radice, si vede che ogni giorno siamo spesso inconsapevolmente partecipi e complici di questa violenza. Anche solamente guardandoci male l’uno con l’altro, rispondendo in maniera sgarbata al nostro prossimo, guardandoci in “cagnesco”, rispondendoci senza gentilezza. In famiglia, al lavoro, per strada.
“Se solo la smettessimo di guardarci in cagnesco, di alzare smoderatamente i toni, di considerare l’altro come il rivale o il nemico di annientare. Se solo fossimo capaci di fermarci per capire davvero che cosa necessita all’uomo di questo inizio terzo millennio per non farsi e fare inutilmente male”, afferma il sacerdote con tono speranzoso ma allo stesso tempo addolorato, rassegnato.
“Italia, agosto 2021, tempo di pace. Poche i morti delle mafie, molti quelli dovuti agli omicidi stradali. Il suolo, che pur da qualche parte non ha smesso di tremare, non ha fatto danni. Nessuna vittima dovuta al terrorismo, molte – tante! troppe! – le donne umiliate, offese, massacrate dai maschi con cui avevano o avevano avuto una storia d’amore. Ce n’è abbastanza”, è il quadro prospettato dal prete di strada.
Patriciello ha ricordato le parole della presidente della Commissione d’inchiesta del Senato sui femminicidi, la senatrice Valeria Valente, che ha parlato nientemeno di “un fallimento dello Stato”. “Perché, allora, tanto pigro e spietato ritardo nel correre ai ripari?”, è la domanda puntuta del religioso. Che offre la sua personale esperienza per inquadrare il problema.
“Nei giorni scorsi, a pochi passi da casa mia, un bambino di soli tre anni è stato sbalzato dalla minuscola utilitaria guidata dal suo papà da un’auto di grossa cilindrata arrivata a folle velocità. Il piccolo aveva già perduto la sua mamma pochi mesi prima. Inimmaginabile il dolore del padre”, racconta. “Gli ultimi quattro femminicidi, due dei quali terminati con il suicidio dell’assassino, ancora una volta, hanno scosso gli animi degli italiani. Quanto dolore!”.
Purtroppo, però, il tema dell’incoscienza umana, che in fondo riguarda il mistero del male, è antico quanto l’uomo, e se non si vive un rapporto vero e costante con la Parola di Gesù, con la Sua Persona viva insieme a noi, che ci protegge, indicandoci la strada, il rischio di smarrirsi è davvero alto. In certi casi, in certi contesti, a dir poco inevitabile.
“Da millenni l’umanità si è posta il problema della sofferenza umana. Da millenni, purtroppo, riesce solo a balbettare “è, l’amara constatazione. Se infatti i progressi della società, della medicina o della scienza, hanno fatto grandi passi in avanti ad esempio contro la malattia, o contro il dolore fisico, con le cure palliative, contro la mancanza di benessere materiale, con lo sviluppo dell’economia, contro la fame e la mancata distribuzione dei beni primari, grazie alla politica o a chi si impegna ogni giorno nel sociale, ancora molto va ancora fatto per i mali interiori, spirituali, dell’essere umano.
Patriciello spiega infatti che, a suo avviso, “è sulla sofferenza più diffusa, quella che aggredisce il mondo in modo trasversale, colpisce le persone colte e quelle analfabete, i giovani e gli anziani, le donne e i maschi, che non sappiamo – o forse non vogliamo? – riflettere”. Si tratta cioè della “sofferenza dovuta alla povertà che ogni essere umano sperimenta in se stesso e che lo porta a cercare l’altro o l’altra per avere completezza che mi riferisco”.
“La maggior parte delle persone oggi in preda alla depressione, al disagio, alla disperazione, lo è per motivi di amore. Anche la stragrande maggioranza dei suicidi affonda in questo ambito le proprie motivazioni. L’uomo si avverte incompleto, con un’ala sola diceva don Tonino Bello, e va alla ricerca dell’altra ala con cui volare”, è l’amara constatazione.
Che cioè l’essere umano ha sempre bisogno di amore, anche quando non ne è consapevole, ma che purtroppo allo stesso tempo nella nostra società che si riempie sempre più spesso la bocca di parole come amore, rispetto, pace, queste virtù vengono praticate ben poco. Siamo apparentemente più ricchi, ma moralmente più poveri. Apparentemente più vicini e sempre più connessi, ma in realtà sempre più soli e isolati. Ci diciamo spesso sempre più caritatevoli, amorevoli, rispettosi e inclusivi, in realtà, purtroppo, il mondo è sempre più cinico, spietato, baro. A volte perverso, altre violento, altre ancora ingiusto.
“L’amore di coppia, però, è diverso da quello materno, fraterno, amicale. È un amore che coinvolge tutte le dimensioni dell’essere umano”, spiega il sacerdote. “Chi ama diventa fragile, necessita dell’altro, lo cerca, lo vuole. Nel rapporto di coppia, amore ed egoismo si fondono e si confondono. Bisogna stare attenti, essere onesti fino a farsi male, per non ingannare e lasciarsi ingannare. Come tutte le cose importanti anche l’amore dovrebbe essere insegnato”.
Tra le pieghe di questi sentimenti, non abbastanza riconosciuti, su cui spesso non si riflette e non si fa adeguato discernimento, ad esempio con un sacerdote a noi vicino, un padre spirituale, un predicatore con le sue catechesi, spesso rischia di incastrarsi un male viscerale che sfocia nella violenza. Spesso, di questa mancanza, è la società intera ad esserne colpevole, nessuno escluso, e a volte c’è bisogno di battersi il petto per fare autocritica.
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“Chi è preparato ad assumersi questo difficile e nobile incarico? Chi dovrebbe essere in grado di prendere per mano gli adolescenti e aiutarli a incamminarsi per il bellissimo e insidioso sentiero dell’amore? Gettiamo via la maschera. Guardiamoci attorno“, è l’invito del parroco di Caivano, tra Napoli e il Casertano, cuore della Terra dei fuochi.
“Sulle bancarelle della vita, oggi, si può trovare di tutto e a poco prezzo. Ma, si sa, ciò che costa poco vale poco. Per avere buoni risultati, in ogni campo, occorrono preparazione, rinunce, pazienza, sacrifici. Vale anche nel campo dell’amore e del vivere civile. Necessita, con urgenza, tornare a insegnare le antiche virtù della prudenza, della pazienza, del rispetto per gli altri, conclude così la sua riflessione.
C’è in sostanza bisogno di tornare a guardare all’amore di Dio per sconfiggere la violenza, ma questo purtroppo nessuno lo vuole riconoscere. Si preferisce puntare il dito, parlare di rieducazioni, di concetti talmente astratti che sono anche impossibili da comprendere. Non si guarda la realtà dell’uomo che odia perché distante dall’amore infinito e misericordioso del Signore, che da sempre ci ama e che continuerà a farlo fino alla fine dei tempi, chiedendo però in cambio la nostra conversione più radicale e profonda.
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Forse non si riflette abbastanza su questo perché Dio, in fondo, fa molta paura ai grandi della terra. Gesù rende uomini e donne liberi, e questo è pericoloso per chi desidera, al contrario, controllare e schiavizzare l’umanità per i propri interessi. Molto più comodo parlare di altro, e celare il problema dietro false soluzioni. La realtà è però che “se poi, tutti, credenti e non credenti, insieme, senza preconcetti e senza paure, ci ponessimo in ascolto del vangelo, ci accorgeremmo che tutto è dono”, conclude il sacerdote. “Un dono da custodire, difendere, promuovere, amare. Ci accorgeremmo, finalmente, di vivere, come scriveva Chesterton, nel paese delle fate”.
Giovanni Bernardi
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