Santa Teresa d’Avila
Teresa de Cepeda y Ahumada nacque il 28 marzo 1515 ad Avila, Spagna. Crebbe in una famiglia numerosa, la sua fu un’infanzia serena e molto pia. Fin da piccola si distinse per il grande amore verso la lettura della Sacra Scrittura e fu animata dal desiderio del martirio.
Entrò in un convento carmelitano nel 1533. A causa di varie difficoltà di ordine spirituale, faticò prima di arrivare a quella che lei chiama la sua “conversione”. A partire dal 1542 fu protagonista di numerose esperienze mistiche, che costituiscono il tema principale della sua opera, cui per altro attese sempre sotto richiesta dei suoi padri spirituali o per l’ammaestramento delle suore del convento.
Nel 1560 ebbe la prima idea di un nuovo Carmelo. Propugnò la necessità di una riforma dell’ordine che ripristinasse l’antico rigore della regola e curò la fondazione di numerosi nuovi monasteri, scontrandosi spesso per il suo fervore con l’autorità ecclesiastica. Con l’aiuto di San Giovanni della Croce fondò una serie di case per carmelitani e carmelitane “scalzi”. Le sue opere principali sono: “Libro della vita” (1562-65); “Libro delle dimore” (1576-77); “Libro delle fondazioni” (1582).
Morì ad Alba de Tormes (Salamanca) il 4 ottobre 1582. Venne beatificata nel 1614, canonizzata nel 1622 e proclamata dottore della chiesa nel 1970 (è stata la prima donna, insieme a S. Caterina da Siena, ad ottenere tale titolo).
«La sua esperienza interiore è un pellegrinare in avanti oltre ogni ostacolo verso l’infinito di Dio: è dinamica, progressiva, esodica. Passa di luce in luce per approdare alle realtà soprannaturali della salvezza: Dio Padre, l’umanità del Cristo, lo Spirito santo amore, la grazia, i sacramenti, la passione per la Chiesa. In tale esperienza vi sono gioia ed entusiasmo ma anche, e soprattutto, sofferenza, sconvolgimento, trasformazione. Tutte queste realtà costituiscono la trama dell’avventura umano-spirituale di Teresa, avventura a passo con Dio, con il suo epicentro nell’orazione, quale rapporto d’amicizia con il Dio di Gesù Cristo. Proprio tale rapporto interpersonale, che avvicina il divino all’umano, imprime un profondo realismo spirituale alla vita ed alle opere della mistica d’Avila. In questa santità incarnata il soprannaturale costituisce parte integrante dell’esistenza umano-divina di Teresa. Nelle pagine di questa donna umanissimo si avverte chiaramente come la mistica comunione con Dio non isoli in un’aura sacrale: la grazia divina, il Cristo, l’inabitazione trinitaria, non sono nozioni astratte ma realtà vive che alimentano la sua esistenza storica».
1. La preghiera come amicizia con Dio
Teresa non ha mai scritto un trattato sulla preghiera, ma solo esposto la sua esperienza spirituale, la sua vita di orazione. Si tratta di una preghiera raccolta, interiore, silenziosa, contemplativa. È una preghiera perfetta che nasce dall’amore, cresce nella contemplazione e fiorisce nella comunione. Nasce come esigenza di vivere un rapporto personale con Dio, un desiderio di vivere a tu per tu con l’amico del cuore, cui rivolgere lodi, suppliche, invocazioni, adorazioni, abbandoni fiduciosi. Pregare significa aprirsi a Dio, accogliendolo nel profondo del proprio essere con un amore colmo di desiderio e di volontà di donare se stesso.
2. L’incontro con Dio uomo in Cristo
Cristo non è il Dio lontano, gelido, inafferrabile, ma il Dio che penetra nella storia, che nasce come un bambino, che cresce, soffre, ama. È il Dio che si fa compagno di strada al nostro pellegrinare terreno, che partecipa con la sua sensibilità, alla vita di ciascun uomo. Il mistero dell’incarnazione pertanto è posto al centro di tutta l’esperienza teresiana. Ella scopre nel Vangelo la dimensione umana del Cristo: l’incontro con la Samaritana, la preghiera nell’Orto degli ulivi. In questa meditazione sull’umanità di Cristo trova la scoperta del vero e autentico amore: separarsi da questo unico bene e rimedio per i desideri del nostro cuore è rinunciare al vero incontro con Dio, nelle ultime stanze (mansioni).
3. Il mistero del Dio Trinità d’amore
Quasi al termine dell’esperienza di vita spirituale iniziata con l’orazione, come più alto grado della vita contemplativa, sta l’esperienza di Dio trinità. In una visione, le giungono queste parole: «Non cercare di chiudere me in te, ma cerca di chiudere te in me». In alcune Relazioni ella descrive la partecipazione a tale mistero come comunità perfetta di tre Persone distinte tra cui vi è uno scambio reciproco di amore e in cui vige una essenziale unità. Questa esperienza contemplante il mistero trinitario viene resa con una descrizione del Padre come fonte di luce e di amore, che la attira per arricchirla, per riversare su di lei la sua compiacenza. L’esperienza dell’inabitazione trinitaria infonde pace e serenità, preludio di quel godimento promesso nella gloria futura. Negli ultimi giorni di vita, Teresa avrà sempre più il desiderio di godere la visione di Dio come anche di servirlo ancora sulla terra.
4. L’amore per la Chiesa
Non si può negare che Teresa sia stata figlia del suo tempo e della Chiesa del suo tempo. Obbediente ai suoi confessori, amante dei “capitani della Chiesa”, ossia i sacerdoti, i più saggi e i più sprovveduti. In tutta la sua vita esprime il desiderio della loro santificazione, trasmettendo alle sue figlie spirituali quel carisma di preghiera per la santità sacerdotale come fine specifico del Carmelo. Ma la sua esperienza dimostra anche la sua difesa nei confronti delle prevaricazioni maschili ecclesiastiche come testimoniato nel Libro della Vita(40,8) nei confronti delle donne. Il suo stesso porsi a servizio della Chiesa, ma anche determinata nel difendere la sua Riforma testimonia la profonda novità di Teresa, che è donna di grande valore prima di essere monaca e mistica. Leggendo le sue Opere non si può non innamorarsi di lei, anche per questo.
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