Una vocazione è come una pianta che comincia a radicarsi nel terreno. Ma conservare il seme della chiamata divina richiede grande cura.
Più che mai la Chiesa ha bisogno oggi di giovani chiamati al sacerdozio e alla vita religiosa. È Gesù stesso che ci esorta a pregare per le vocazioni. «Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe» (Mt 9, 38)
Si parla spesso della crisi delle vocazioni. Eppure le file dei battezzati continuano a infoltirsi. Secondo le ultime edizioni dell’Annuario pontificio e dell’Annuarium Statisticum Ecclesiae – che riportano i dati sulla vita della Chiesa – i cattolici battezzati sono aumentati nel mondo. Da 1 miliardo e 360 milioni che erano nel 2020 sono passati a 1 miliardo e 378 milioni nel 2021 (17,6% della popolazione mondiale).
Un aumento spinto soprattutto dall’Africa ma anche, seppure in misura minore, da Asia e America. Resta invece al palo l’Europa, dove il numero dei cattolici è stabile.
Se i battezzati nel complesso crescono, non si può dire altrettanto delle vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa. I sacerdoti sono diminuiti dello 0,57%, passando dai 410.219 del 2020 ai 407.872 del 2021. Se però si vanno a considerare i sacerdoti religiosi si vede che la diminuzione è stata più pesante (-1,1%) rispetto ai sacerdoti diocesani (-0,32%).
Un paradosso: aumentano i cattolici, ma non preti e religiosi
I freddi numeri della statistica fotografano dunque una situazione paradossale: crescono i semplici fedeli ma non i sacerdoti, in particolare i religiosi. C’è già chi pensa a sostituirli con i laici – come se fosse possibile – per tacere di chi, sotto sotto, non vede l’ora di vedere come se la cava Chat GPT con l’abito talare…
Dio ha forse smesso di chiamare a sé i pastori per il suo gregge? La risposta evidentemente è no. «La Chiesa non mancherà mai dei Sacerdoti necessari alla sua missione» ha scritto Pio XII nell’esortazione Menti Nostrae (1950).
Fulton Sheen, nella sua straordinaria meditazione intitolata Il sacerdote non si appartiene, ci invita a distinguere tra la vocazione e la risposta alla vocazione. Dio chiama, l’uomo deve decidere se rispondere o meno alla chiamata di Dio.
In genere gli studi sulle vocazioni, fa presente il Venerabile Fulton Sheen, mostrano che i giovani che sentono la chiamata di Dio sono molti di più di quel che pensiamo. Il vescovo americano cita alcuni dati (riferiti naturalmente agli anni ’60, quando uscì il libro succitato) che riportano percentuali stratosferiche, tra il 40% e il 66% di allievi adolescenti che a un certo momento della loro vita avevano sperimentato il desiderio di farsi sacerdoti.
Anche in campo spirituale è fondamentale preparare il terreno per la semina
La stragrande maggioranza di questi ragazzi, purtroppo, in seguito si allontana, facendosi sviare dalle distrazioni del mondo. A dimostrazione, una volta di più, che «la verità è al termine, non al principio della vocazione… » (Gustave Thibon).
Le ragioni di questi abbandoni sono tante, afferma Sheen. Ma spesso una di queste risiede nel fatto che queste vocazioni in erba non sono state debitamente accompagnate, in particolare dai sacerdoti.
Tutti i vangeli sinottici riportano la parabola del seminatore. Il significato appare chiaro: a seminare le vocazioni è Dio, ma l’uomo può preparare il terreno propizio (la «buona terra», il «cuore buono e perfetto») affinché il buon seme della chiamata divina possa radicarsi.
Bisogna salvare il seme, direbbe Giovannino Guareschi. Simone Weil vedeva un’analogia tra il lavoro del contadino nei campi e questo lavoro di preparazione all’accoglienza della grazia.
L’opera del contadino, diceva la filosofa amica di Gustave Thibon, non consiste nell’andare alla ricerca dell’energia del sole – immagine della grazia – e nemmeno nel captarla. Il suo lavoro è quello di organizzare le cose in modo che le piante, capaci di captarla e di trasmetterla, siano messe nelle migliori condizioni possibili per ricevere la luce del sole e la sua energia. Esattamente come noi non possiamo fare altro che disporre la nostra anima alla ricezione della grazia.
L’importanza di proteggere gli “operai” dalle seduzioni del peccato
Anche con le vocazioni è fondamentale questo lavoro preparatorio. In particolare per aiutare i giovani che si trovano sotto la pressante sollecitazione del “mondo” e delle sue seduzioni.
Diventa vitale allora proteggere questi “chiamati” dal pericolo del peccato, ricorda Fulton Sheen, come Dio protesse gli Ebrei al momento della loro uscita dall’Egitto.
In Esodo 13, 17 si legge infatti: «Quando il faraone lasciò partire il popolo, Dio non lo condusse per la strada del paese dei Filistei, benché fosse più corta, perché Dio pensava: “Altrimenti il popolo, vedendo imminente la guerra, potrebbe pentirsi e tornare in Egitto”».
Una strada più corta che ricorda inevitabilmente la porta larga e la via spaziosa che, secondo l’avvertimento di Gesù, conducono alla perdizione.
Quei tre ragazzi “terribili” cacciati troppo in fretta dalle scuole religiose
Proteggere i giovani “vocati” dalla tentazione di fare ritorno alla schiavitù dell’Egitto è un compito di grande responsabilità.
A questo proposito ci sembra utile riportare un brano tratto proprio dal libro di Fulton Sheen:
«Anni fa stavo mangiando nel ristorante di un albergo, quando un ragazzetto di circa dodici anni, che si guadagnava il pane facendo il lustrascarpe, prese a dondolarsi attaccato a una tenda dell’ingresso. Il capo cameriere si mise a sbraitare e lo cacciò via.
Seguii il ragazzetto nella strada. Mi raccontò che il parroco e una suora lo avevano espulso da una scuola cattolica, dicendogli che non avrebbe mai più potuto frequentare una scuola cattolica.
Lo riportai da quel parroco e da quella suora, ricordando loro la storia di tre ragazzi «cattivi» espulsi appunto da scuole religiose: il primo perché tracciava disegnini durante la lezione di geografia, il secondo perché distribuiva troppi pugni, il terzo perché teneva libri cattivi sotto il materasso. Quei tre erano rispettivamente Hitler, Mussolini e Stalin.
Quanto diversa, nella luce del Signore, avrebbe potuto essere la storia del mondo se coloro che dovevano guidarli si fossero dati maggiormente la pena di correggerli!
Il parroco e la suora accettarono di riammettere il ragazzo. A suo tempo egli fu ordinato sacerdote e attualmente è missionario nelle terre artiche».
Benito Mussolini e i salesiani
È poco noto infatti come Benito Mussolini fosse figlio di un socialista puro e duro che gli impose un nome da rivoluzionario in onore del messicano Benito Juarez.
Però Rosa Maltoni, la mamma del futuro duce, era una devota cattolica e lo fece battezzare. Il piccolo Benito fin da bambino manifestò un carattere ribelle, volitivo e violento.
A nove anni i genitori lo mandarono in un collegio di Faenza retto dai salesiani, dal quale venne punito severamente e espulso per aver ferito con un temperino un convittore durante una lite.
Dopo l’espulsione dai salesiani Mussolini venne mandato in un collegio laico a Forlimpopoli diretto da Valerio Carducci (fratello del poeta), dove rimase dal 1894 al 1901. Influenzato dalle idee del padre, a 17 anni Benito cominciò a dirsi socialista, a leggere la stampa sovversiva e a frequentare i circoli socialisti.
Stalin, ex seminarista devoto e sacerdote mancato
Meno noto ancora che Stalin frequentò la scuola ecclesiastica di Gori e fu espulso ufficialmente dal seminario ortodosso di Tbilisi il 29 maggio 1899.
Il suo biografo Robert Conquest scrive che «il giovane Stalin era rinomato per la sua devozione religiosa» e che era desiderio di sua madre che diventasse sacerdote.
A spingere il giovane Stalin verso le ideologie rivoluzionario fu il clima di pesante censura dei “libri proibiti” che vigeva nel seminario. Qui il rettore e i suoi assistenti (tutti russi) avevano messo al bando non solo la letteratura occidentale “sospetta” ma anche Dostoevskij, Tolstoj, Turgenev.
In più avevano alimentato un clima di sospetti e spionaggio di cui fece le spese proprio Stalin, che si vide sequestrare dei libri a seguito di una perquisizione nell’armadietto.
Lo stesso Stalin in seguito avrebbe spiegato che a prepararlo a diventare rivoluzionario – nonché uno dei maggiori propulsori dell’ateismo nel mondo – fui proprio questo clima repressivo e spionistico (da lui definito un «sistema oltraggioso»).
L’odio di Hitler per la scuola, la Chiesa e i preti
L’austriaco Adolf Hitler, nato in una famiglia cattolica e battezzato poco dopo la sua nascita, il 20 aprile 1889, nella parrocchia cittadina di Braunau, frequentò la seconda e la terza elementare nell’antica abbazia benedettina di Lambach, in Austria, dove grazie alla sua voce piacevole e acuta entrò nel coro della chiesa e si segnalò pure come un diligente chierichetto.
Successivamente studiò non in una scuola religiosa, ma alla Fadingerschule di Linz fondata dal pedagogo austriaco Adalbert Stifter e poi alla Realschule di Steyr.
Il passaggio alla scuola secondaria fu duro per lui e il suo rendimento, ottimo fino ad allora, crollò a picco. Gli insegnanti lo descrissero come uno studente che si applicava poco, indisciplinato, insolente e caparbio. Il futuro Führer, riferisce il suo biografo Ian Kershaw, «lasciò i banchi “con un odio naturale” verso l’istituzione e in seguito si fece beffe del periodo scolastico e dei suoi insegnanti».
Nel libro Dittatori. Hitler e Mussolini, Pino Scaccia e Anna Raviglione raccontano che Hitler «odiava la scuola, i compagni di classe, gli insegnanti e li incolpava tutti del suo fallimento, così come la Chiesa cattolica e un prete della scuola che lo aveva offeso».
I due anni successivi li passò a fantasticare un futuro da grande artista. Passando il tempo a disegnare, dipingere, leggere o a scrivere poesie, dedicandosi al teatro di prosa e all’opera alla sera. Andava a dormire a notte inoltrata svegliandosi la mattina tardi, senza un progetto di vita in testa. In quei due anni passati a Linz, scrive sempre Kershaw, si «possono osservare l’indolente stile di vita, la fantasia megalomane, la scarsa disciplina per il lavoro sistematico che caratterizzeranno l’Hitler più tardo».
Il mistero della parabola dei talenti
Cosa poteva essere un Adolf Hitler che avesse usato per il bene la sua capacità di entrare in un contatto profondo con le folle? Cosa sarebbe stato se avesse messo a frutto un talento che condivideva con eccezionali predicatori come un san Bernardino da Siena?
Per lui, come per gli altri ex “ragazzi terribili” poi diventati da grandi i “padri terribili” del Novecento, vale quanto ha scritto il filosofo cattolico Jean Guitton, grande amico di papa Paolo VI: «Quest’uomo che, dall’asilo dei poveri di Vienna, seppe salire sino alla Cancelleria di Berlino, ebbe dei doni eccezionali. Li ha usati per disfare e distruggere. Che benedizione se quei doni li avesse impiegati per costruire e creare! Divenne il simbolo stesso del Male perché aveva la capacità di diventare un eroe del Bene. Volle essere demone e, con quelle stesse capacità, poteva essere un santo, tra i grandissimi. Per un cristiano, Hitler è il mistero della parabola dei talenti; è l’enigma della volontà di Dio che si concentra nelle personalità che escono dalle masse ma le trascendono, portandole verso la salvezza o la perdizione».
Aveva ragione Guareschi: bisogna salvare il seme, prendendoci cura prima di tutto del terreno sul quale andrà ad attecchire. Per impedire che il deserto spirituale dei nostri tempi si estenda ancora di più.