In Australia il processo di laicizzazione della società passa anche dai calendari e dai libri di storia, oggetto di critica, infatti, sono i riferimenti storiografici fondati sulla datazione cristiana che sarebbero, secondo l’attuale governo australiano, non conformi al rispetto delle diversità religiose e non religiose.
Sotto esame, dunque, la separazione tra era moderna ed era antica identificata dalle sigle BC (Before Christ) AD (Anno Domini), corrispettive dei nostri avanti cristo e dopo cristo. La proposta di legge formulata dal governo australiano è quella di sostituire le storiche sigle con altre “Politicamente corrette”, ovvero CE (common Era) per i tempi moderni e BCE (Before Common Era) o BP (Before Present) per l’epoca antica.
La proposta di legge verrà vagliata in questi giorni ed in caso di approvazione l’Australia sarà il primo paese anglofono a non utilizzare la datazione cristiana per gli eventi storici. Nell’ottica della laicizzazione della società ci troviamo di fronte ad un passo in linea con l’idea stessa di una nazione non basata su un credo religioso, mentre dal punto di vista meramente razionale più che un atto dovuto a chi non crede sembra piuttosto una presa di posizione su un dettaglio che non offende nessuno.
Proprio per questo il giornalista Andrea Tornielli sul proprio blog ironizza sulla proposta di legge australiana suggerendo alcuni riferimenti storici alternativi sui quali basare la datazione: “Si potrebbe scegliere, solo per l’Australia, un riferimento temporale del tutto originale, magari strizzando l’occhio ai più piccoli, ad esempio conteggiando gli anni dalla nascita di Walt Disney, oppure da quella di Mel Gibson, attore australiano che ha dedicato un film alla Passione di Cristo: due piccioni con una fava”.
Infine Tornielli si pone un quesito lecito, ovvero: in un sistema globale in cui tutte le nazioni si basano sulla datazione cristiana, bastano le nuove sigle a cancellare la memoria di Cristo? La domanda è chiaramente retorica e non possiamo che concordare con la posizione del giornalista, dato che una simile proposta si ascrive all’ipocrisia della laicizzazione forzata e non alla tutela di un diritto.
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